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Plastica, altro che riciclo: nuova denuncia di Greenpeace

Traffico illecito di rifiuti: più di 1.300 tonnellate di plastica destinata al riciclo spedita illegalmente in Malesia.

Plastica, altro che riciclo: nuova denuncia di Greenpeace

Una nuova indagine dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia ha portato alla scoperta di un sospetto traffico illecito di rifiuti plastici con l’aggravante dell’associazione per delinquere transnazionale. Stando ai documenti confidenziali nelle mani dell’associazione, da gennaio a settembre 2019 il 46 per cento dei rifiuti in plastica italiani inviati in Malesia è risultato destinato ad aziende prive dei permessi per importarli e riciclarli. Già in mano alle autorità competenti tutta la documentazione dell’indagine. Video con telecamera nascosta: “Ci siamo finti trafficanti di plastica per dimostrare quanto sia facile vendere illegalmente i nostri rifiuti”.

Più di 1.300 tonnellate di rifiuti in plastica italiani spedite illegalmente ad aziende malesi. E questo solo nei primi nove mesi del 2019 quando, su un totale di 65 spedizioni dirette in Malesia, 43 sono state inviate ad impianti privi dei permessi per importare e riciclare rifiuti stranieri. È quanto documenta l’Unità Investigativa di Greenpeace Italia che, da gennaio 2019, anche nel Paese asiatico ha condotto una indagine, riuscendo ad entrare in possesso di documenti riservati che mostrano come circa la metà dei rifiuti plastici italiani diretti in Malesia (il 46 per cento in peso, ovvero più di 1.300 tonnellate su un totale di 2.880 tonnellate) finiscano in impianti privi delle autorizzazioni e che quindi operano senza alcun rispetto per ambiente e salute umana, con evidente violazione delle leggi nazionali e comunitarie.
Se quanto documentato dall’associazione fosse confermato dalla autorità, “le contestazioni a carattere penale sarebbero elevate - precisa Paola Ficco, giurista ambientale e avvocatessa - e nello specifico saremmo di fronte ad attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito di rifiuti e associazione per delinquere transnazionale”.

Dove va a finire la nostra plastica?
L’analisi di Greenpeace si è concentrata sui rifiuti plastici misti - ovvero contenitori, film, pellicole industriali e residui plastici di ogni sorta - largamente utilizzati nella nostra vita quotidiana ma di difficile recupero e riciclo (riconducibili a HS Code 39159). Si tratta dei rifiuti che, fino a due anni fa, erano spediti prevalentemente in Cina, partner privilegiato capace di ricevere il 42% dei nostri rifiuti plastici esportati fuori dai confini europei. Tuttavia, nel 2018, il gigante asiatico ha fermato l’import di quei polimeri di plastica di scarsa qualità, poco riciclabili e quindi grandemente impattanti per ambiente e salute umana.

Così, a seguito del bando cinese, altri Stati, pur non essendo dotati di sistemi idonei ed efficaci di recupero e trattamento, sono diventati le nuove mete dei rifiuti globali. Tra questi, la Malesia è stata il primo importatore di rifiuti plastici italiani nel 2018 e, dato confermato anche nei primi nove mesi del 2019, resta tuttora partner privilegiato dell’Italia, garantendosi il secondo posto con 7 mila tonnellate importate tra spedizioni dirette e indirette, per un valore di quasi un milione e mezzo di euro.

La norma in Italia: “Esportare solo per riciclo”
Le spedizioni, stando alla normativa, dovrebbero seguire un iter molto rigoroso. Si tratta del Regolamento (CE) n. 1013/200613, il quale mette nero su bianco l’obbligo, per i Paesi europei, di spedire i propri rifiuti plastici fuori dall’Ue esclusivamente per “riciclo e recupero”. Inoltre, gli impianti di destino devono avere standard ambientali e tecnici pari a quelli comunitari e operare con “metodi ecologicamente corretti”, ovvero “in conformità di norme in materia di tutela della salute umana e ambientale grosso modo equivalenti a quelle previste dalla normativa comunitaria”. Da ultimo, è esclusa la possibilità di spedire rifiuti lontano dai confini europei per smaltimento (ovvero “messa in discarica” e “incenerimento a terra e in mare”).
"Eppure, nonostante “la legislazione del Paese di destino deve essere ‘grosso modo equivalente’ a quella comunitaria mi sia consentito di osservare che la normativa malese, con il dovuto rispetto, non equivale neanche lontanamente a quella europea” conferma la giurista ambientale Paola Ficco. Ad esempio, “non esistono la valutazione di impatto ambientale o strategica, né il concetto di danno ambientale con l’apparato fideiussorio o l’autorizzazione integrata ambientale”. Un problema “condiviso con quasi tutti i Paesi del Sud-Est asiatico verso cui esportiamo i nostri rifiuti”, continua l’avvocatessa. Pertanto, “l’esportazione dovrebbe essere l’ultima ratio”, anche perché “una società tecnologicamente avanzata deve essere in grado di gestire i propri scarti; se non lo è, deve interrogarsi seriamente su quello che sta facendo”. Il punto non è, secondo la giurista, se i nostri rifiuti plastici debbano essere spediti in Malesia, “il punto è che i nostri rifiuti plastici non dovrebbero essere spediti all’estero”. Peccato che la realtà documentata dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia sia ben diversa.

“La commissione ecomafie già nella relazione del 2018 aveva stimato come il 25 per cento dei traffici che si verificano via mare verso i Paesi internazionali presentava delle irregolarità”, precisa Stefano Vignaroli, presidente della Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, evidenziando come la situazione scoperta da Greenpeace sia addirittura peggiore rispetto alle aspettative. “I Paesi emergenti - continua Vignaroli - come la Malesia, non sono preparati a gestire questo flusso di rifiuti ma ne sono attratti dal guadagno che rappresenta”. Infatti, secondo Zuraida Kamaruddin, ministra malese con delega alla gestione delle materie plastica, la plastica è “un business pulito da capitalizzare”. “Se non proveremo a trarne vantaggio economico noi, lo farà qualcun altro - continua la ministra - D’altronde, perché dovremmo uccidere un settore economicamente rilevante solo perché il nostro sistema di controllo non è abbastanza forte?”. E intanto, i rischi per ambiente e salute umana non sembrano arrestarsi.
Inoltre Greenpeace denuncia che, pur essendo diminuite le spedizioni complessive verso la Malesia, nel 2019 si è registrato un importante aumento delle spedizioni che arrivano in Malesia con l'intermediazione di broker di Paesi terzi. Nel dettaglio, mentre nel biennio 2017-2018 circa il 20 per cento dei rifiuti plastici esportati dall’Italia verso il Paese asiatico era gestito da aziende non malesi (soprattutto con sede a Hong Kong e in minima parte Cina), da gennaio 2019 cresce il ruolo degli intermediari di Hong Kong, che arrivano a gestire la metà delle nostre spedizioni verso la Malesia.

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